«Nell’azienda della mia famiglia ci sono sempre stati vigneti; le uve venivano portate alla cantina sociale del paese, Lucera. Quindici anni fa, sull’entusiasmo per la trasformazione dei pomodori, cominciata qualche tempo prima con successo, ho pensato di fare il mio vino. Le vecchie vigne erano su terra troppo fertile a sesto troppo largo per poter fare grandi cose; abbiamo quindi spiantato e ripiantato, questa volta su terra povera, sul poggio dell’azienda a 300 metri di altitudine, un palmo di terra vegetale con sotto uno strato di calcare friabile. Abbiamo scassato a un metro e venti, da nord a sud, portato in superficie il calcare, spietrato a mano e non frantumato a macchina, per non minutare troppo il calcare e renderlo solubile, mischiato di nuovo, curato la terra al sole per un paio di anni, poi impiantato un selvatico debole, e innestato Nero di Troia, Bombino, Sangiovese e Montepulciano con le marze dei vecchi vigneti già acclimatati. Coltiviamo con tecniche di agricoltura biologica e non abbiamo una sola pianta di varietà internazionali».
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